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Se la partita Iva rinuncia alla pensione di scorta

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Più di 520mila partite Iva lo hanno già fatto e molte altre, probabilmente, lo faranno nei prossimi mesi. Sono tanti i lavoratori autonomi italiani che hanno deciso, spesso con dolore, di interrompere i versamenti ai fondi pensione, rinunciando così a costruirsi (almeno per il momento) una rendita di scorta in vista della vecchiaia, per integrare i futuri assegni dell’Inps. A rivelarlo sono i dati della Covip, l’autorità che vigila sul settore della previdenza complementare, che ha evidenziato uno dei tanti effetti deleteri dell’attuale crisi economica.

 

Stop ai versamenti, per colpa della crisi

Parecchi liberi professionisti, oggi fanno fatica ad arrivare a fine mese e devono per forza di cose tirare pesantemente la cinghia, spostando in avanti le spese non proprio urgenti o necessarie. Tra queste, ci sono appunto i versamenti ai fondi della previdenza integrativa, che daranno i frutti soltanto tra molti anni, cioè quando il lavoratore maturerà il diritto ad andare in pensione. Proprio per questo motivo, l’idea di costruirsi una rendita supplementare è stata messa in soffitta da molti nostri connazionali: non soltanto dalle partite Iva ma anche da quasi 700mila lavoratori dipendenti. È una scelta giusta? In teoria no, ma bisogna comunque mettersi nei panni di chi, come i liberi professionisti, non ha lo stipendio garantito alla fine del mese e deve pur trovare da qualche parte i soldi per vivere.

 

Soldi bloccati

L’importante è che la rinuncia alla previdenza complementare, anche se temporanea, avvenga sempre in maniera consapevole, tenendo presenti tutte le conseguenze che comporta. In primo luogo, va detto che il capitale finora accumulato nei fondi integrativi resta di proprietà del lavoratore (com’è ovvio che sia) e continua a essere investito sui mercati finanziari, maturando dei rendimenti. I soldi, però, rimangono fermi per molti anni e non possono essere ritirati in anticipo, prima della data del pensionamento. È possibile chiedere riscatti parziali o totali del capitale (tra il 50 e il 100% della somma maturata) soltanto in presenza di ragioni straordinarie: per esempio quando il lavoratore risulta disoccupato da più di 12 mesi (caso assai raro tra i liberi professionisti), oppure quando resta invalido, quando deve affrontare delle spese sanitarie o deve comprare e ristrutturare una casa (per sé o per i figli). Infine, chi ha iniziato a versare i soldi in un fondo pensione da più di 8 anni, può farsi liquidare il 30% della somma maturata per qualsiasi motivo, senza dover presentare alcuna particolare giustificazione.

 

La pensione si assottiglia

Chi rinuncia temporaneamente alla previdenza integrativa deve però tenere a mente soprattutto un’altra conseguenza importante della sua decisione. È il rischio di ricevere in vecchiaia una pensione complementare molto più bassa del previsto. Non è facile calcolare a priori di quanto potrà diminuire l’assegno integrativo, poiché il potenziale taglio alla rendita di scorta dipende da diversi fattori, come l’età attuale del lavoratore, l’ammontare di soldi che accantonava ogni mese alla previdenza complementare e l’intervallo di tempo in cui il piano di risparmio viene sospeso. Si possono però fare delle stime attendibili, utilizzando dei simulatori previdenziali consultabili su internet, nel sito web di ogni fondo pensione. Ecco un esempio concreto, per un lavoratore autonomo 40enne che destinava 200 euro al mese a un fondo pensione che rende in media il 2% all’anno. Interrompendo i versamenti per  12 mesi, la pensione di scorta diminuirà di circa 180 euro lordi all’anno (in media quasi 14 euro netti al mese). Per un lavoratore 30enne, il taglio all’assegno integrativo sarà invece di 220 euro lordi all’anno (poco più di 16 euro netti al mese). Se il piano di risparmio rimarrà fermo per un periodo più lungo, il taglio alla pensione di scorta mensile sarà di altri 14-16 euro netti, per ogni anno di interruzione dei versamenti.


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