La data è fissata da tempo sul calendario: 1° gennaio 2014. E’ il giorno in cui partirà l’aumento dei contributi pensionistici a carico delle partite iva non iscritte a un Ordine professionale. Si tratta di una categoria di lavoratori autonomi che, assieme ai dipendenti precari, versano i propri accantonamenti previdenziali in un particolare fondo dell’Inps: la Gestione Separata, che ha quasi due milioni di iscritti, vanta un bilancio in attivo per circa 6-7 miliardi di euro e, da sola, tiene in piedi i conti di tutto il sistema previdenziale italiano.
Stangata in arrivo
Dal prossimo anno, la somma che le partite iva senza Ordine dovranno versare alla Gestione Separata salirà dal 27 al 28% dei compensi incassati. Poi, l’anno successivo, ci sarà un nuovo aumento di un punto, dal 28 al 29%, e così via fino al 2018, quando la quota di contributi da versare raggiungerà il livello-record del 33%, lo stesso che oggi grava sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti assunti a tempo indeterminato, che pagano una montagna di soldi all’Inps ma, almeno, hanno lo stipendio garantito a fine mese.
Per più di mezzo milione di liberi professionisti italiani, dunque, è in arrivo un salasso. A dire il vero, c’è ancora una remota possibilità che l’aumento subisca un blocco, qualora venissero accolte le proposte avanzate un po’ timidamente da alcuni esponenti politici. E’ il caso del presidente della Commissione Lavoro alla Camera e deputato del Pd, Cesare Damiano, che ha suggerito al governo di congelare l’aumento dei contributi per un altro anno ancora. Si tratterebbe di una misura-tampone ma, di questi tempi, sarebbe comunque meglio di niente. Per Damiano, l’accoglimento di questa proposta rappresenterebbe anche un modo per “farsi perdonare” dal popolo delle partite iva. Nel 2007, quando i contributi della Gestione Separata erano pari ad “appena” il 23%, fu proprio l’attuale deputato del Pd (in veste di ministro del lavoro nel governo Prodi) a decidere un incremento delle aliquote, per coprire i costi di un dispendioso pacchetto di misure sul welfare, che rese più flessibili le regole per andare in pensione e consentì a migliaia di dipendenti di mettersi a riposo a 57 anni.
Pozzo senza fondo
A ben guardare, neppure i successori di Damiano si sono fatti scrupoli nel mettere le mani in tasca alle partite iva. Anche il governo Berlusconi, infatti, ha ritoccato all’insù di un punto le aliquote contributive della Gestione Separata (innalzandole dal 26 al 27%), per frenare l’emorragia dei conti pubblici italiani, finiti sull’orlo del baratro nel corso dell’estate 2011. A destra come a sinistra, insomma, la Gestione Separata dell’Inps è stata trattata sempre come un pozzo senza fondo, cui attingere nel momento del bisogno. Adesso, finalmente, qualcuno si sta accorgendo che la misura è colma, visto che la stangata ai danni partite iva è ormai sotto gli occhi di tutti. Un libero professionista senza Ordine che guadagna appena 30mila euro, infatti, oggi paga già circa 8mila euro di contributi all’anno. Con i prossimi aumenti, la spesa per gli accantonamenti previdenziali salirà nel 2014 a quasi 8.500 euro e raggiungerà la soglia di 9.900 euro nel 2018, con le aliquote del 33%.
Lotta contro il tempo
Ora, le speranze degli iscritti alla Gestione Separata sono aggrappate alle iniziative del governo Letta, che si accinge a varare un piano di misure contro la disoccupazione, partendo da alcune modifiche alla legge Fornero (l. n. 98/2012), cioè l’ultima riforma del lavoro approvata un anno fa. Visto che gli aumenti dei contributi per le partite iva sono stati introdotti proprio dalla riforma Fornero, c’è da augurarsi che il premier Letta si ricordi di una cosa: oggi, oltre a 3 milioni di disoccupati, ci sono anche molti liberi professionisti italiani che fanno davvero fatica ad arrivare a fine mese.
Tuttavia, a giudicare come si è comportata finora la politica, c’è da essere poco speranzosi.